L’ICONA PECULATO
Il tempo passa e anche le icone del nostro tempo perdono le luci della ribalta a cui avrebbero pieno diritto.
Sto parlando di quel simbolo di italianità che è quel vigile di Sanremo che era stato pizzicato a timbrare il cartellino in mutande e che, dopo essere stato ingiustamente additato come una vergogna nazionale, è stato poi qualche mese fa assolto dall’accusa di truffa ai danni dello Stato.
Non sto a dettagliarvi le illuminanti motivazioni dell’assoluzione, che si basano sul fatto che aveva il diritto di timbrare “in borghese” (??) perché mettersi la divisa è considerato orario di lavoro. E il suo avvocato, non contento di aver vinto contro ogni logica umana e civile, ha ipotizzato come il vigile abbia di fatto regalato qualche secondo al Comune, anziché aver sfruttato la situazione in chissà quante altre occasioni.
Lo so, sono cose che fanno bene al cuore. Però ho citato l’episodio per segnalarne un altro che evidenzia come l’evoluzione della specie non si fermi mai.
A Padova in questi giorni è stato arrestato un dipendente comunale che deve aver considerato la timbratura abusiva come un banale espediente da principianti. Così ha deciso di pagarsi da solo, e più volte al mese, lo stipendio. Deve aver pensato che, visto che le tasse si pagano diverse volte nell’anno, non c’era ragione per non erogarsi dei fondi senza una cadenza precisa. Invece del canonico 27 del mese, lui si pagava più volte random, così, a seconda di come si svegliava la mattina.
I bigotti (e i giudici) adesso lo accusano di peculato: ma voglio tranquillizzarlo. Non rischia niente.
Se si è fatto i bonifici in borghese (rectius, in mutande) può sempre far dire dal suo avvocato che non era in orario di lavoro.